mercoledì 24 dicembre 2014

L'UOMO CHE SUSSURRAVA AGLI SCRITTORI

- In un indovinello sulla scacchiera, 
qual’è l’unica parola proibita?
Riflettei un momento e risposi:
- La parola scacchiera
(J.L. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano)


Il romanzo "L’uomo che sussurrava ai cavalli", con più di 15 milioni di copie vendute, è sulla lista dei libri più acquistati di tutti i tempi.  

Si dice che Nicolas Evans venne immediatamente richiamato da un editore letteralmente impazzito dopo la lettura dei primi due capitoli. (Sì, due capitoli!!!).

Successivamente Robert Redford ne acquistò i diritti nel 1995 per più di 3 milioni di dollari e il film “L'uomo che sussurrava ai cavalli” uscì nel 1998, con lo stesso Redford nel ruolo di Tom Booker. 

Copertina del Romanzo
Perché assumersi tali rischi su un nuovo autore? Come sono scritti questi primi due capitoli e perché generano un’energia tale da essere sicuri che leggeremo tutto il libro o vedremo tutto il film?


Ci sono ovviamente diverse ragioni che stanno alla base del successo di un romanzo o di un film, ne che vedremo altre nei prossimi post, e una componente imprenscindibile è data dal modo in cui l’autore organizza il materiale del romanzo in quelli che abbiamo definito "cicli annidati" o "nested loops" e che abbiamo già incontrato nei due post precedenti.

Per mostrare come funzionano praticamente riassumiamo prima la storia in modo lineare e poi vediamo in che modo i loop o i cicli annidati riescano a dinamizzarla.

L’uomo che sussurrava ai cavalli

"Due amiche quattordicenni stanno cavalcando sulla prima neve dell’anno. I cavalli scivolano e vengono travolti da un camion. L'amica di Grace e il suo cavallo muoiono sul colpo, mentre lei perde una gamba e il suo cavallo Pilgrim riporta ferite gravissime che lo conducono ad una forma di pazzia animale. La madre di Grace, Annie, una donna fino ad allora assorbita dal proprio lavoro è determinata a risolvere il problema. Così cerca e trova Tom un uomo con la capacità di comunicare (sussurrare) all’animo di uomini e cavalli. Tom restituirà alla ragazzina segnata nel corpo e nel cuore la forza di guarire, e a una donna forte ma confusa il senso dimenticato della propria esistenza."

L’autore non racconta però la storia linearmente ma crea un sistema di cicli annidati che fa sì che noi giriamo una pagina dopo l’altra con interesse crescente.

Le prime aperture lasciate incomplete si vedono già nella prima frase del romanzo “Tutto era cominciato con la morte, e con la morte si sarebbe concluso. Ma se in quel mattino così infausto fosse stata proprio l’ombra fuggevole di un presagio ad attraversare i sogni della ragazzina e a svegliarla, lei non avrebbe mai saputo. Tutto ciò di cui si rese conto nell’aprire gli occhi fu che il mondo appariva in qualche modo diverso.” 

Buck Brannaman: l'Horse Whisperer 
che ha ispirato il personaggio di Tom Booker
In più, subito dopo questa prima frase, la nostra mente di lettori non può fare a meno di continuare col porsi alcune domande: cosa c’era di diverso quel mattino? Chi muore? Chi muore all'inizio e chi alla fine? Esprimendosi con il linguaggio abilmente vago che abbiamo studiato nei post precedenti l’autore non ci dice che cosa succederà, ci dice solo che la cosa sarà una questione di vita o di morte.

In più l'inizio non spiega affatto il titolo e così il titolo (ahimè tendenza di molti) diventa esso stesso un ciclo aperto. Ovvero la nostra mente inizia a girare: cosa significa sussurrare ai cavalli? Chi è quest'uomo?

In questo modo l'autore ha già creato quattro cicli che lascia aperti o che interrompe: il titolo, la morte all'inizio, la morte alla fine, e il mondo diverso al risveglio.

Ora siamo pronti ad ascoltare ma non è ancora sufficiente, anzi potremmo quasi essere pronti a mollare la presa se la storia non passasse a qualcosa di concreto. Abilmente vago sì, ma se lo scrittore è troppo vago il lettore si perde e lascia perdere. Vedremo come quest'alternanza tra vaghezza e concretezza è alla base dei grandissimi romanzi. E così, ma guarda che caso, l’autore comincia la prima storia, annidandola all'interno dei primi due cicli. Annidare significa semplicemente cominciare una storia quando l'altro ciclo non è ancora concluso: Grace e la sua amica  escono a fare una passeggiata a cavallo sulla prima neve dell'anno.

Evans ora scrive parlando di azioni, persone, animali e oggetti della vita reale e infatti utilizza una scrittura sensoriale creando e amplificando il rapport con il lettore, con le tecniche che abbiamo già visto nei capitoli precedenti (ricordate il post su Mogol? ).
Qualche esempio di VAKOG nel paragrafo immediatamente successivo: Il bagliore rosso della sveglia (V, Visivo), momento di alzarsi (K, cenestesico), rimase distesa (K), sollevare il capo (K), riflessi dei trofei d'equitazione (V), le gigantografie delle stelle del rock (V), si mise all'ascolto (A, Auditivo), il silenzio (A), rombo attutito della caldaia (A), cigolio del vecchio pavimento (A), scese dal letto (K), si avvicinò alla finestra (K). Notate come questo paragrafo sia  completamente diverso neurologicamente da quello che lo precede. Ma sarà sicuramente un caso.

E sarà anche un caso che piano piano Evans apra altri cicli e li interrompa. Ad esempio Grace che pensa a come  il rapporto tra i suoi genitori fosse un mistero per lei. E noi lettori: che mistero? Cosa c’era tra loro? Com’è connesso con la morte di cui si parla nel primo paragrafo? E con i cavalli?

Poi si comincia a "loopare" la madre senza rispondere alle domande precedenti. Madre sempre impegnata in eventi mondani, che lavora sempre e che quando viaggiavano in treno non guardava mai fuori dal finestrino (tra l'altro, una cosa che facciamo tutti, quindi è strana, un modo per creare antiricalco con lei e ricalco con la ragazzina; in più crea antiricalco tra la figlia, noi e la mamma con cui la figlia non è in rapport completo: questi scrittori sono MAGHI!) perché era sempre immersa nel suo lavoro anche in treno.

E mentre Evans si guarda bene dal finire la storia della passeggiata, ne inizia un'altra totalmente indipendente di un camionista che si deve mettere in viaggio sulla neve. Noi non sappiamo ancora niente della relazione tra le due storie (ciò voi lo sapete perché avete letto la trama, ma il lettore del romanzo non lo sa ancora). Perché leggiamo la storia del camionista? Perché abbiamo troppe cose in sospeso, ovvero tutti quei cicli che lo scrittore sta lasciando aperti, e quindi anche la nostra mente è aperta, vuole andare avanti per sapere come va a finire. Il camionista viene fermato dalla polizia perché ha un radar illegale, e così la sua storia continua.

Poi Evans ritorna a raccontare un'altra parte della prima storia aggiungendo intanto particolari degli altri cicli, per la ragione, secondo la mia modesta opinione, di rinforzarli nella nostra mente e di mantenerli attivi nella nostra neurologia.

La mamma dà ordini al padre, la mamma lavora anche nei weekend, a Grace piace tenere il papà tutto per sé nei fine settimana, quando la mamma non c’è. Tipo questo weekend.  

E poi ritorna al camionista e il suo camion che va verso la casa della ragazzina. 

Nella scena ci sono anche altre sottigliezze che aumentano la tensione dei cicli: il padre dormiva perché era ancora mattino presto e la mamma non era con loro. L'assenza della mamma e il sonno del padre sono situazioni molto potenti per generare ansia e attese.

Le ragazze sono ora sole nella neve con i cavalli.

In quel momento la nostra mente (e quella dell’editore che ha acquistato i diritti senza pensarci due volte) comincia a chiedersi una serie di cose: che famiglia è, e che relazioni ci sono tra i suoi componenti? Chi è il camionista, un uomo qualunque o c’è una relazione tra lui e la famiglia? E ognuno di voi si chiederà cose diverse e comincerà a fantasticare sui modi possibili in cui la storia può continuare.
Quando il camion arriva sulla stessa stradina dove Grace e la sua amica sono scivolate e non riescono a risalire la salita siamo al momento clou dell’energia, data proprio dalla tensione dei cicli aperti e dal fatto che cominciamo a desiderare di vederne qualcuno chiuso!

E infatti qui non ci possiamo più fermare nemmeno volendo, come il camion che cerca di frenare ma sulla neve ovviamente non ci riesce e così investe le due ragazze, e insieme a loro anche il nostro cuore si schianta.

Con lo scontro tre cicli si chiudono (il camionista, la gita a cavallo e la morte iniziale): la sua amica e il cavallo dell’amica muoiono nello schianto, Grace rimane in vita ma perde la gamba, il suo cavallo impazzisce dalle ferite riportate. In più comincia a rivelare qualcosa sul titolo: si parla effettivamente di cavalli anche se non sappiamo ancora nulla dell'uomo che sussurra. 

Staranzano (GO), Isola della Cona. 
Un'esperta natural horsewoman invita 
un cavallo Camargue ad avvicinarsi a lei
Notate che Evans, così come Shahrazade, aveva abilmente costruito nel frattempo altri cicli più profondi che lascia ancora aperti e che adesso vengono messi in moto con ancora più grande energia: come farà la famiglia adesso? In che modo la madre super lavoratrice si occuperà di lei? E il padre? Chi di loro morirà alla fine? Il cavallo sarà abbattuto dando così un dolore ulteriore a Grace, oppure potrà guarire? 

E cosa c’entra tutto questo con il titolo: l’uomo che sussurrava ai cavalli? Chi è quest'uomo?

Evans rilascia un po' della tensione psicologica chiudendo qualche loop. Questo sistema è utile sia per non farci diventare troppo impazienti (la chiusura di un ciclo ci dà una forma soddisfazione psicologica) sia per acquistare credibilità: il romanzo promette quello che mantiene quindi ci fidiamo e desideriamo continuare ad ascoltare il sussurro dell'autore.

C'è una ragione più profonda per cui tutti questi loop vengono creati. Non è solo per dare al lettore motivo di continuare, come potrebbe essere lo scopo di soap opera o di film che ci preparano ad un seguito. Questa è la ragione più superficiale, più ovvia.

Il motivo reale e che fa la differenza è quello di far sì che il messaggio dello scrittore venga ascoltato proprio quando il lettore è pronto a riceverlo e ad essere modificato dal messaggio stesso.

Questo è il centro principale del lavoro di Milton Erickson, che costruiva storie (la conoscete a proposito quella del cavallo?) fino a impegnare completamente la parte logica della mente, anzi a sovraccaricarla come descritto nel post Zeigarnik!, ricalcandone intanto il contesto, le preoccupazioni, le cose che considerano importanti (la mappa del loro mondo) finché passava in guida proponendo una nuova mappa (vedi il post La Mappa del Tesoro attraverso comandi ipnotici di possibilità, risorse disponibili, guarigione, futuri meravigliosi.

E questo secondo me è esattamente quello che sa fare con le parole un grande scrittore, saggista, regista, cantautore ed è la ragione per cui li ascoltiamo e li leggiamo.

Nel caso di Evans un bella frase come quella che sto per scrivere, che è un invito a vivere la vita in un certo modo, è molto più efficace se inserita in storie concentriche in modo che scivoli dentro di noi proprio quando siamo pronti a riceverla ed è per questo che la scelgo per auguravi Buon Natale:

"A volte quella che sembra una resa 
non lo è affatto. 
E' qualcosa che avviene 
nel profondo del nostro cuore. 
Significa vedere con chiarezza 
di cosa è fatta la vita, 
accettarla e viverla con coerenza, 
qualunque siano le conseguenze, 
perché il dolore che proveremmo 
decidendo di non viverla 
sarebbe molto, molto peggiore."


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domenica 21 dicembre 2014

ALF LAYLA WA LAYLA

Le mille e una notte è indubbiamente il classico della letteratura orientale più famoso. Una raccolta di racconti datata attorno al X secolo, che si svolgono in varie epoche e paesi, e composta da diversi autori arabi, egiziani, persiani e indiani.

La storia comincia con il re persiano Shāhrīyār deluso ed infuriato per il tradimento della moglie si convince della perfidia femminile e sviluppa un odio mortale per le donne

Quindi ordina al Gran Vizir di condurgli una vergine ogni notte: avrebbe passato la notte con lei e la mattina seguente al sorgere del sole ne avrebbe ordinato l'esecuzione. La strage continua superando le 1000 fanciulle uccise finché Shahrāzād (شهرزاد), figlia maggiore del Gran Vizir, non si offre di passare la notte col Re per mettere fine a quel macabro cerimoniale avendo escogitato uno stratagemma con sua sorella minore Donyāzād.

Nella traduzione di Sir Richard Burton, Sharāzād ci viene presentata così: 

"[Sharāzād] aveva scandagliato i libri, gli annali e le leggende dei Re precedenti, le storie, gli esempi e le avventure di uomini e di cose del passato; anzi si diceva che avesse raccolto un migliaio di libri di storie relative ad antiche popolazioni e sovrani defunti. Aveva assimilato le opere dei poeti e li conosceva a memoria; aveva studiato la filosofia e le scienze, le arti e le imprese; e lei era piacevole e gentile, saggia e spiritosa, colta e ben educata".

Frontespizio di un'edizione francese 
de Le mille e una notte
Così la bella Sharāzād viene ammessa nelle stanze intime del sovrano e comincia a raccontare a Shāhrīyār una storia affascinante, tenendone desta la curiosità  con i suoi racconti straordinari, ora incatenati l'uno all'altro come anelli di una collana, ora rinchiusi l'uno nell'altro come in una successione di scatole cinesi.

Shahrāzād ha l'accortezza di sospendere il suo racconto al momento del sorgere dell'alba, inducendo così il suo amante-ascoltatore a voler sapere come la storia andrà a finire rinviando l'esecuzione alla mattina successiva, dopo che Sharāzād abbia completato il suo racconto.

Ciò in effetti avviene, ma la giovinetta, finito il racconto lasciato in sospeso, ne avvia uno nuovo, interrompendolo a metà con le medesime modalità del primo racconto.

Questo stratagemma mantiene viva giorno per giorno sia la curiosità del sultano che la stessa Shahrāzād. La storia così per mille e una notte e finché il re dimentica l'antico odio per le donne, si innamorato di lei e le rende salva la vita essendo egli stesso riconciliatosi con la vita stessa.  

Notiamo quindi come ben prima degli studi della "moderna" psicologia troviamo già nel mondo antico i principi dell'effetto Zeigarnik espressi in modi raffinati e sviluppati in molte varianti.


Alcuni personaggi che animano le favole raccontate dalla principessa Sharāzād  fanno parte dell'immaginario di tanti bambini del mondo, e sono state trasposte innumerevoli  volte sul grande e piccolo schermo, come Alì Baba e i quaranta ladroni o Aladino e la lampada magica o ancora i viaggi di Sindbad il marinaio.
 
Nello spiegare la sua scelta nello scrivere il nome di Shahrāzād in questo modo, Richard Burton dice che il nome significa "La persona il cui regno o dominio (in persiano: شهر - shahr) è libero (in persianoآزاد - āzād)"; in versioni più antiche troviamo anche il nome  Sherazade come derivato da "nata da leoni" Shir-zād, Shirazad (In persianoشيرازاد - Shīrāzād). Il nome  della sorella Donyāzād significa invece "colei che libera il mondo".
Donyāzād appare nel manoscritto anche come Dīnāzād composto da din = "sensibilità o coscienza spirituale/religiosa" (la stessa di Ala-din) e āzād = nobile/libera.
Ritratto del califfo Hārūn al-Rashīd
protagonista di varie storie della raccolta

La personalità di Shahrāzād invece è derivata dalla leggendaria regina Homai, figlia di Kay Bahman, chiamata Chehrzad o Chehrazad (In persiano: چهرازاد - Cehrāzād, "la persona di nobile apparenza").

La madre del celeberrimo Harun al-Rashid's, Al-Khayzuran, si dice abbia influenzato inoltre il personaggio di Shahrāzād.

Lascio a voi di indagare cosa può significare questa comunicazione stratificata a più livelli.

In questo contesto a me piace menzionare che nel libro "I Sufi" di Idries Shah (Edizioni Mediterranee, a p. 164) si citi l'utilizzo del sistema Abjad, un linguaggio segreto basato sul valore numerico delle lettere. Grazie a un semplice sistema di sostituzione cifrata un poeta o uno scrittore sono in grado di comunicare più messaggi contemporaneamente. 

Le Mille e Una Notte è esattamente un titolo di questo tipo. Seguiamo il ragionamento di Shah. Supponiamo di essere un poeta o scrittore che ha intuizioni a diversi livelli sulla natura umana e che decida di mettere per iscritto questa conoscenza in una forma che permetta di oltrepassare i condizionamenti della mente e arrivare direttamente all'anima delle persone. Uno scopo che va molto al di là di questo blog ma che ha almeno un punto di contatto interessante.

Questo poeta scrive allora una raccolta di resoconti, di storie, e siccome il testo è fondamentale lo chiama "La Fonte dei Resoconti", o la "Madre / Matrice delle Storie", in arabo: UMM AL Q(i)SS(a) = أُم آل قِصَّة

UMM = madre, matrice, fonte, principio
AL = di
Q(i)SS(a) = resoconto, storia, racconto

Ora la somma degli equivalenti numerici, utilizzando lo schema Abjad come riportato qui sotto, è indicata da Shah come 267.


(A) ʾalif ا 
1
(Y) yāʼ ي 
10
(Q) qāf ق 
100
(B) bāʼ ب 
2
(K) kāf ك 
20
(R) rāʼ ر 
200
(J) ǧīm ج 
3
(L) lām ل 
30
(SH) šīn ش 
300
(D) dāl د 
4
(M) mīm م 
40
(T) tāʼ ت 
400
(H) hāʼ ه 
5
(N) nūn ن 
50
(TH) ṯāʼ ث 
500
(U) wāw و 
6
(S) sīn س 
60
(KH) ḫāʾ خ 
600
(Z) zāī ز 
7
(‘) ʿayn ع 
70
(DH) ḏāl ذ 
700
(H) ḥāʾ ح 
8
(F) fā ف 
80
(D) ḍād ض 
800
(T) ṭāʼ ط 
9
(S) ṣād ص 
90
(DZH) ẓāʼ ظ 
900




(GH) ġayn غ 
1000

Idries Shah nel libro non fa il calcolo, io non riesco a resistere alla tentazione e correndo il rischio di complicarmi la vita ve lo rpopongo qui:

UM(M) = 6+40 = 46
AL = 1+30 = 31
Q(i)S(S)(a) = 100+90 = 190 


(non calcolo le vocali brevi e le lettere doppie che in arabo non vengono scritte)

Somma totale = 267

Successivamente, continua Shah, il poeta va alla ricerca di un altro titolo, più poetico o descrittivo che abbia lo stesso equivalente numerico. Ricomponendo le lettere il nuovo titolo diventa: ALF LAYLA UA LAYLA che significa Le Mille (ALF) e Una Notte (LAYLA).

Verifichiamo: ALF L(a)YL(a) U(a) L(a)YL(a) = ألف ليلة وليلة

ALF = 1+30+80 = 121
L(a)YL(a) = 30+10+30 = 70

U(a) = 6
L(a)YL(a) = 30+10+30 = 70


Somma totale = 267!

Aggiungo io un mio commento: siccome il nucleo di queste storie è formato da un antico libro persiano chiamato Hezar-Afsana ovvero "I Mille Miti" c'è un'ulteriore coincidenza con il numero mille che aggiunge uno strato ai numerosi significati.

Quindi l'autore, scrive Shah, ci sta probabilmente comunicando, attraverso un codice cifrato, che la raccolta "Le Mille e Una Notte" non è solo una raccolta favolistica ma qualcosa che funziona a un altro livello, un'indicazione che nelle storie ci siano insegnamenti di valore inestimabile per l'essere umano. 

Senza andare ad indagare questo livello (per chi fosse interessato consiglio i libri proprio di Idries Shah) la mia osservazione legata a questo blog è: se nella "Matrice delle Storie" troviamo continuamente "storie nelle storie" o "storie incatenate" forse un piccolo messaggino su come possiamo scrivere meglio magari c'è. 

La cosa fantastica è che il metodo di raccontare le storie presentato in Shahrāzād può essere generalizzato e questa struttura generalizzata noi la chiameremo "cicli annidati" o "nested loops" (Da Richard Bandler, in onore della programmazione informatica) e vedremo come applicarla nei post successivi.

Nel frattempo osserviamo come Shahrāzād, salvando se stessa e migliaia di altre ragazze con questo elegante espediente, suggerisce anche come salvarsi al nostro volenteroso scrittore e a chiunque altro voglia ascoltarla.


P.S. Magari guardatevi anche questo balletto: 



 Nikolai Rimsky-Korsakov
Symphonic Suite Scheherazade



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sabato 13 dicembre 2014

ZEIGARNIK!

Per scrivere bene ci sono solo due segreti.
Il primo è quello di non scrivere tutto quello che sai.
(Adriano De Matteis,
parafrasando un altro detto famoso)


Tutte le strategie più potenti per strutturare storie efficaci derivano da alcune funzioni fondamentali della mente umana che provocano effetti del tutto particolari che gli scrittori usano da millenni, ben prima che queste funzioni venissero descritte dalla moderna psicologia.

Il Dr Kurt Zadek Lewin fu pioniere della psicologia sociale e per dimostrare il valore di mettere alla prova concreta le sue affermazioni teoriche, riuscì a diventare un maestro nel trasporre un problema quotidiano in un esperimento psicologico. Uno dei momenti più affascinanti degli esordi di Lewin fu  il modo in cui riuscì ad utilizzare un momento apparentemente banale di una sua interazione con un cameriere.
 

 Un vecchio cameriere - Ein alter Kellner
 Franco Battiato

Nel 1927 in un ristorante di Berlino Lewin e i alcuni suoi colleghi erano impegnati in una lunga discussione. Il cameriere non gli aveva ancora portato il conto e così Lewin lo chiamò per chiederne l'ammontare. Il cameriere glielo disse senza esitazione e Lewin pagò e tornò a discutere ancora per alcuni minuti finché all'improvviso, come colto da un'intuizione, Lewin chiamò nuovamente il cameriere e quando chiese nuovamente l'ammontare del conto fu sorpreso dal fatto che il cameriere non riusciva più a ricordarlo, nemmeno sforzandosi. Il conto era sparito dalla sua mente, cancellato.

Alla dott.ssa Zeigarnik venne quindi l’idea di creare un esperimento su un gruppo di partecipanti volontari per verificare se l’effetto fosse una caratteristica generale propria della mente umana e non solo specifica dei camerieri Berlinesi. La psicologa chiese ai volontari di svolgere una ventina di semplici compiti cognitivi: risolvere dei rompicapo, realizzare oggetti semplici come collanine, e cose simili. La dott.ssa Zeigarnik poi, senza spiegazioni, interrompeva alcuni di questi compiti annotando per ciascun partecipante quali compiti stessero svolgendo al momento dell'interruzione.

Successivamente Bluma chiese ai partecipanti quali, dei circa venti compiti svolti, ricordassero meglio. Che cosa scoprì secondo voi? La stragrande maggioranza dei partecipanti dimostrò di ricordare molto meglio i compiti che erano stati interrotti, rispetto ai compiti che avevano completato; esattamente come nel caso del cameriere.

E non finisce qui. Lewin aveva infatti creato un effetto valanga con un semplice cambiamento di prospettiva. Un'altra sua studentessa, Maria Oviankina, aggiunse una componente importante allo studio e cioè mostrò come non solo la mente ricordi più facilmente i compiti incompleti ma di fatto tenda a voler portare a termine il compito in modo quasi irresistibile.

In questa particolare interazione, Lewin ipotizzò quindi due fenomeni: il primo è che un azione o un progetto incompleto creino una tensione psichica che agisce come spinta a completare un compito, una specie di "ansia di completamento" e il secondo è che questa tensione psichica non si acquieti fino a che il compito non sia terminato. 



Oscar Wilde nel 1882
Anche se io preferisco ancora uno volta uno scrittore, che ovviamente ha intuito entrambi i lati di questa medaglia d'oro, Oscar Wilde: 
(1) "Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni." (Tensione da completamento) e (2) "L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervisi." (Rilascio della tensione al completamento)
Effettivamente questa forma di ansia può diventare un vero e proprio disagio ed è per questo che spesso al centro delle sessioni di coaching si lavora appunto per chiudere questi "cicli" aperti nella propria vita, come vengono chiamati in quel contesto, proprio per abbassare questa tensione e liberare energie da dedicare ad altri obiettivi più importanti.

Chiamiamo "ciclo" questo fenomeno per dare l'idea di un'attività che ha un inizio, che viene interrotta e che poi può essere ripresa successivamente e, a volte, "chiusa". Finché non viene completata (chiusa) funziona come un'interruzione, continua a ciclare, a tornare presente alla mente giorno dopo giorno, a volte più volte al giorno (sapete tutti di cosa parlo vero?) finché non la chiudiamo.

La cosa bella degli artisti è che spesso lavorano ad un altro livello, quasi al contrario, e infatti gli scrittori, i registi o gli intrattenitori usano questi cicli aperti (io li chiamo "loop" seguendo Richard Bandler) esattamente nel modo opposto al coaching: ovvero proprio per provocare e poi tenere alta la tensione, e quindi l’attenzione.

Che ne dite, interessante?



Immagine della sigla di Sentieri
Lasciare semplicemente in sospeso il racconto alla fine (chiamato in gergo Cliffhanger, con le puntate che finiscono con "to be continued ...") è un esempio di come l'effetto Zeigarnik possa essere utilizzato nelle telenovele e nelle soap opera dove il finale di un episodio di una serie viene interrotto rimandando la visione di come andrà a finire agli episodi successivi.

Questo è un modo elementare, anche se molto efficace, di usare l'effetto e il bello è che, come vedremo nei prossimi infatti, gli scrittori e i registi sanno come integrarlo nella loro arte in modi molto più raffinati grazie a due altre scoperte delle studentesse di Lewin.

Anita Karsten, infatti dimostrò come compiti semplici che venivano interrotti, venivano ripresi più facilmente se erano visti come parte di un insieme più grande e che avesse un significato per la persona. Ecco perché interrompere alcuni film e addormentarci sul divano non funziona, non significavano molto per noi e così il compito è interrotto. E lo lasciamo interrotto.
 

Quindi lo scrittore deve essere in grado prima di tutto di creare connessione con il lettore/spettatore, come abbiamo visto nei post precedenti riguardanti il ricalco,poi creare una grande onda, come la chiamano i compositori, formata da altre componenti che se interrompe lascia  il desiderio di continuare. Uno senza l'altro non funzionano e insieme funzionano solo con l'introduzione di una terza componente.

Infatti un'altro effetto che notò la Zeigarnik, di cui non si parla quasi mai, ma che è di straordinaria importanza, era che questa incompletezza impedisce che la mente si concentri su altri processi cognitivi. Questa proprietà della mente veniva utilizzata da Milton Erickson (ancora e sempre lui!) che mentre parlava al paziente cominciava diverse storie, aneddoti, ragionamenti che avevano forte rilevanza per la persona che ascoltava lasciandoli però incompleti. In questo modo, nello sforzo di tenere traccia delle informazioni incomplete, la mente cominciava a funzionare in modo diverso. Da un lato non riusciva più a concentrarsi su troppe cose contemporaneamente e nel frattempo cominciava a cercare di completare i cicli aperti con interpretazioni soggettive o di fantasia (ricerca transderivazionale). Questo processo causava il tipico stato di trance in cui la mente diventava più ricettiva ai comandi ipnotici indiretti di Milton: uno scopo che secondo me è essenzialmente lo stesso di quello dello scrittore o del regista che ci fanno girare pagina dopo pagina, o continuare a vedere un film aspettando con eccitazione la prossima scena e nel frattempo ci lasciano  immaginare possibili continuazioni che rivelano nel momento in cui siamo stati sufficientemente preparati ad ascoltare o vedere la nuova mappa del mondo che ci propongono.

Nei prossimi post vedremo alcuni esempi tratti da grandissimi romanzi e film.

State connessi

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