domenica 2 giugno 2013

COSA E QUALUNQUE COSA

Nel post di oggi mi permetto di tradurre, e non analizzare, un poesia del grande Jalal al-Din Rumi che mi è giunta attraverso Coleman Barks (Rumi: The book of Love). 
Potete vedere e ascoltare la recitazione in inglese di Coleman con l'accompagnamento musicale di  Eugene Friesen e Arto Tuncboyaciyan cliccando sull'immagine della rosa dopo la poesia.


Cosa e qualunque cosa

Cosa è stato detto alla rosa che l’ha fatta schiudere
è stato detto a me qui nel mio petto,
 

cosa è stato detto al Cipresso
che lo ha reso così forte e slanciato,
 

cosa è stato sussurrato al gelsomino 
per dargli il suo profumo,
qualunque cosa sia che rende dolce la canna da zucchero,
 

qualunque cosa abbia benedetto gli abitanti della città di Chighil nel Turkestan con eleganza e bellezza,

qualunque cosa sia che fa arrossire i fiori del melograno, proprio come un viso, è ciò che sta entrando in me ora.
Arrossisco.

Qualunque cosa sia che dà eloquenza al linguaggio, sta accadendo qui, attraverso di me.
 

Le grandi porte si aprono. Mi riempio di gratitudine mentre succhio il midollo di una canna da zucchero.

Provando sempre amore per l’Uno che dona tutte queste cose e qualunque cosa all'universo intero. 





driadema@gmail.com

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sabato 23 marzo 2013

GETTIAMO L'ANCORA!

Governare è far credere
Niccolò Machiavelli

 
Uno dei cani di Pavlov,
esposto imbalsamato al
museo Pavlov di Rjazan
La maggior parte di noi conosce probabilmente l’esperimento passato alla storia come  "Il cane di Pavlov". In questo esperimento Pavlov dà della carne ad un cane e mentre il cane inizia a salivare mangiando fa suonare un campanello. Dopo qualche ripetizione dello stesso schema, fa suonare solo il campanello, in assenza del cibo, e osserva che il cane ha lo stimolo salivare simile a quello di quando gli viene offerta la carne, l’acquolina in bocca. (A proposito: quanti di voi hanno una secrezione salivare aumentata proprio ora? ;-))

In PNL il campanello viene chiamato “àncora” cioè uno stimolo, in questo caso auditivo, che provoca una certa risposta grazie al fatto che lo stimolo si è presentato in concomitanza dello risposta stessa casualmente o in modo voluto.  Un esempio di àncora  è una canzone che sentiamo alla radio e che ci riporta a un periodo preciso della nostra vita, o una foto che ritroviamo e ci fa riprovare le stesse sensazioni di quando venne scattata.


Nella scrittura alcuni scrittori utilizzano procedimenti simili sia per facilitare certe emozioni nei lettori sia per preparare un momento importante di un romanzo o di una poesia.


Fernando Pessoa, 1914.
In “La Tabaccheria” Fernando Pessoa utilizza l’ancoraggio spaziale in modo molto chiaro e preciso, e a seconda dello stato emotivo in cui si trova utilizza un posto individuato chiaramente. In particolare quando va alla finestra assume uno stato attivo, vitale, orientato all’esterno, all’azione e alle altre persone. Quando invece è sulla sua poltrona entra in uno stato incline al pensiero metafisico e alla speculazione filosofica. E’ meraviglioso notare come al cambiare dello stato, cambi anche di posizione in modo tale che chi legge sia facilitato, data la complessità della poesia, ad assumere lo stato che lo scrittore vuole indurre prima ancora che il poeta ne scriva. Vediamo alcuni esempi tratti dalla poesia, trovate il testo completo in molti siti internet ad esempio cliccando qui.  

E partiamo dalla Finestra:
“Sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
E quando c'era, la gente era uguale all'altra.”
Per passare quindi all’introspezione:
“Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!

 E poi qualcosa alla finestra lo fa tornare alla realtà esterna:
“Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con l'intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell'essere indisposti.”

E quindi ritorna al proprio interno per pensare:

“Poi mi allungo sulla sedia
E continuo a fumare.
Finche il Destino me lo concederà, continuerò a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaia
Magari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia.
Vado alla finestra.”

In questo momento, nel leggere “vado alla finestra” il nostro stato, senza rendercene conto a livello conscio, è di apertura verso l’esterno, disponibile a conoscere le persone e la realtà esterne :-) e infatti con precisione matematica Pessoa scrive la propria conclusione che ha preparato grazie a tutta la parte precedente:
“L'uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica.
(Il Padrone della Tabaccheria s'è affacciato all'entrata.)
Come per un istinto divino Esteves s'è voltato e mi ha visto
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l'universo mi si è ricostruito senza ideale né speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.”

Meraviglioso. Ancora di più se pensiamo all'altra ancora che scivola via leggermente: quella del fumo, che unisce l'interno e l'esterno. 



Niccolò Ammaniti in “Io Non Ho Paura” costruisce magistralmente un ancoraggio tra il sentimento della paura e una collina. Il romanzo comincia con: “Stavo per superare Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava. Mi sono girato e l'ho vista sparire inghiottita dal grano che copriva la collina.”
Abbiamo già analizzato questo inizio in un post procedente e di come il fatto di “inghiottire” sia già associato alla paura, (specie se viene dopo un titolo “Io non ho paura” che già fa pensare alla paura stessa). A pagina 16 - Edizione Einaudi - troviamo un altro ancoraggio stavolta attraverso la fantasia di un ragazzino, Michele: “Magari sulla collina viveva un animale strano!” senza dircelo direttamente, ovviamente, lo scrittore àncora la collina a presenze strane e quindi potenzialmente pericolose che possono inghiottirci così come la collina ha metaforicamente inghiottito la sorella di Michele (tra l’altro una violazione della selezione restrittiva nel modello di Milton).

 
Nella prima parte del romanzo Ammaniti, senza che noi ce ne rendiamo conto perché immersi nella storia e nelle dinamiche dei personaggi, continua ad associare alla collina, attraverso una serie di eventi e situazioni, sensazioni di paura, di cose strane, di pericolo fino a raggiungere un livello in cui ci basta pensare alla collina che già sentiamo il battito cardiaco accelerare.


Se adesso voi foste lo scrittore dove fareste rimanere Michele da solo per fargli scoprire una realtà agghiacciante?



Vista panoramica dalla Connors Hill, nei pressi di Swifts Creek, Victoria

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domenica 10 marzo 2013

OBIEZIONE VOSTRO ONORE!


Puoi dire che sono solo un sognatore
Ma non sono il solo

Spero che ti unirai a noi un giorno

E che diventiamo insieme un solo mondo.
(John Lennon, da "Imagine"
Traduzione di Adriano De Matteis)

Constance Dowling e Pavese
Ogni volta che  proponiamo le nostre idee, in un qualunque contesto, può succedere che qualcuno non sia d’accordo con ciò che diciamo. Un modo per creare rapport anche con queste persone è quello di ricalcare le obiezioni stesse da parte nostra addirittura prima che le persone le esprimano.
 

Leggiamo ad esempio come Cesare Pavese anticipi le critiche egli stesso in "Dialoghi con Leucò" poco prima che il lettore cominci la lettura vera e propria:


"Cesare Pavese, che molti si ostinano a considerare un testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie americano-piemontesi, ci scopre in questi Dialoghi un nuovo aspetto del suo temperamento. Non c'è scrittore autentico, il quale non abbia i suoi quarti di luna, il suo capriccio, la musa nascosta, che a un tratto lo inducono a farsi eremita. Pavese si è ricordato di quand'era a scuola e di quel che leggeva: si è ricordato dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge. Ha smesso per un momento di credere che il suo totem e tabù, i suoi selvaggi, gli spiriti della vegetazione, l'assassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po' straccamente e ci sbadigliano un sorriso. E ne sono nati questi Dialoghi."

In Alta Fedeltà , Nick Hornby utilizza la tecnica non nella premessa ma all’interno delle vicende del romanzo stesso. A pagina 91 dell’Edizione Guanda (traduzione di Laura Noulian) si trova a raccontare di alcuni suoi comportamenti nei confronti di Laura che potrebbero causare una reazione avversa del lettore. Così prima che il lettore possa formarsi un giudizio negativo, o immediatamente dopo che il lettore potrebbe averlo fatto, utilizza la tecnica di integrare le potenziali obiezioni in modo creativo:

“Non so di preciso cosa abbia raccontato Laura a Liz, tuttavia potrebbe averle dato almeno un paio delle seguenti informazioni, se non addirittura tutte e quattro:

1) Che quando Laura era incinta sono andato a letto con un'altra.
2) Che questa storia influì direttamente sulla sua decisione di interrompere la gravidanza.
3) Che, dopo l'aborto, mi feci prestare da lei una forte somma di danaro e a tutt'oggi non le ho restituito nemmeno un soldo.
4) Che, poco prima che lei se ne andasse, le ho detto che non ero soddisfatto del nostro rapporto, e che forse, chissà, magari pensavo di trovare qualcun'altra.

Ho fatto e detto queste cose? Sì. Ci sono circostanze attenuanti? No davvero, a meno che qualsiasi genere di circostanza (in altre parole, qualsiasi genere di contesto) possa essere considerato un'attenuante. Ma prima di esprimere un giudizio, benché sia probabile e abbiate già formulato uno, provate a scrivere le quattro cose peggiori che avete fatto voi al vostro partner, anche se - specie se - il vostro partner non ne sa niente. Non indorate la pillola, non cercate di spiegarle; scrivetele punto e basta, stendete la classifica, con le parole più semplici possibile. Fatto? Ok, allora adesso lo stronzo chi è?”
John Lennon nel 1969
Avrete anche notato in che modo John Lennon nella citazione iniziale del post, tratta da quella che è stata considerata da molti la canzone più bella e rappresentativa del ‘900, non solo integri l’obiezione di chi potrebbe pensare sia solo un sognatore ma addirittura la usi per guidare la persona verso di sé e il gruppo di persone che come lui crede nel dare alla pace una possibilità per proporre agli ascoltatori di riconsiderare le parole della canzone e pensare a come vivere insieme in un mondo migliore.

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domenica 3 marzo 2013

SARO' BREVE ...

Esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce.


In questo post continuiamo a dare piccoli spunti su come anche la scrittura abbia una componente para e una non verbale, ovvero possegga anch’essa componenti non direttamente connesse con il significato delle parole ma che si aggiungono al significato delle parole stesse.
Nello scorso post abbiamo esaminato come il suono delle parole stesse possa portare con se un'emozione che può sostenere la componente emotiva del messaggio di chi scrive. Una componente non verbale è per esempio la posizione delle parole nella frase, specie se inconsueta.

Melchiorre Gherardini,
Piazza San Babila a Milano durante la peste del 1630
(acquaforte del 1633, Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia)




Nei Promessi Sposi leggiamo di una scena ambientata durante l'epidemia di peste del 1630 (Capitolo 34):

“Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta”
La parola “morta” collocata alla fine del periodo diventa di una potenza inaudita. Se la posizione nella frase fosse stata in un punto diverso il significato sarebbe stato lo stesso ma l’impatto emotivo probabilmente molto più ridotto.
 

Un’altra componente para-verbale, che è in grado di accelerare o rallentare il ritmo della scrittura è data ovviamente dalla lunghezza delle parole e del periodo.
A tal punto che queste due componenti sono utilizzati dalla formula di leggibilità di un testo ideata da Flesch. La formula fu inizialmente utilizzata dall’esercito degli Stati Uniti per misurare la difficoltà dei manuali tecnici nel 1978 e divenne rapidamente uno standard nel dipartimento della difesa. La Pennsylvania fu il primo degli Stati Uniti a richiedere che le polizze d’assicurazione auto fossero scritte con un’alta leggibilità misurata dalla formula di Flesch

Il modo di calcolare questo indice è il seguente secondo l’adattamento che ne fecero Roberto Vacca e Valerio Franchina per la lingua italiana:
Leggibilità = 206 - 65*(S/P)-(P/F), dove:


S è il numero delle sillabe del testo; 
P è il numero di parole del testo;
F è il numero di frasi contenute nel testo.
 
La leggibilità è considerata alta se la formula dà un risultato superiore a 60, media se fra 50 e 60, bassa se il risultato è sotto il 50.



Ritratto di Alessandro Manzoni,  
Francesco Hayez (1841),  
Pinacoteca di Brera, Milano.
Nell’arte c’è una flessibilità maggiore e l’artista tende a utilizzare ogni cosa e il contrario di ogni cosa se risponde ai propri scopi artistici. Da scrittore potrei alcune volte voler essere leggibile, agile e veloce e quindi userei frasi e parole corte. A volte invece potrei voler parlare di qualcosa che richiede un rallentamento, una riflessione, e potrei anche decidere di allungare le frasi e le parole, volutamente. Il paraverbale e il non verbale sono strumenti da utilizzare per uno scopo non etichette o sistemi per dire chi è più bravo o meno bravo. Quindi da un punto di vista neurolinguistico se sto raccontando qualcosa di veloce lo ricalco con un’alta leggibilità, analogamente se sto raccontando di un'azione lenta, posso ricalcare o supportare quest’azione lenta con periodi più lunghi e anche parole più lunghe. Ad esempio il brano di Manzoni ha una bassa leggibilità (parole e frasi lunghe) che rallentano, appesantiscono la lettura in perfetto ricalco con la scena. Manzoni usa elegantemente il paraverbale e il non verbale per comunicare un altro livello emotivo che arricchisce l’esperienza del lettore.

Se torniamo alle canzoni diamo ancora il benvenuto a Vasco Rossi (che abbiamo visto già essere un mago del Milton Model) che si è trovato di fronte alla sfida di come scrivere canzoni rock, con ritmo veloce, nate con testi inglesi dove le parole sono molto corte, mono o al massimo bisillabe mentre le parole e le frasi italiane sono nettamente più lunghe. Allora Vasco inizia una ricerca di tutti modi di dire che utilizziamo nella vita quotidiana e che sono formati da poche parole e corte: “Va bene così”, “C’è chi dice no”.
Applichiamo la formula di Flesch ad esempio alla canzone “E...” (titolo di rara brevità)”: 

“E... Vuoi da bere? Vieni qui. Tu per me. Te lo dico sottovoce: amo te come non ho fatto in fondo con nessuna. Resta qui un secondo.”
Io conto 27 parole, 43 sillabe su 7 frasi (dipende da come si divide il verso). La leggibilità è 99! (il massimo è 100) Sorpresi? Ancora una volta Vasco si dimostra un maestro nell’uso dei ferri del mestiere. Addirittura in “C’è chi dice no, va oltre sforando l’indice di leggibilità (bisognerà rifare la formula solo per lui) grazie all'uso di tutte parole monosillabe tranne tre bisillabe: dice, sono, muovo.
C’è chi dice no, c’è chi dice no, io non ci sono.
C’è chi dice no, c’è chi dice no, io non mi muovo.
Eros Ramazzotti nel 2009

Eros Ramazzotti, cantante più melodico nel solco della tradizione italiana canta invece:

“Se bastasse una bella canzone a far piovere amore si potrebbe cantarla un milione, un milione di volte.” 

Una frase con 18 parole, 36 sillabe e quindi un indice di leggibilità di 58. Più bassa di quella di Vasco ma comunque ancora un'alta leggibilità.

Uscendo invece dal contesto artistico mi trovo d’accordo con lo stato della Pennsylvania e mi viene in mente che forse dovremmo chiedere che i programmi politici venissero autorizzati solo in caso di leggibilità superiore a 60 ;-)
 

E giusto per dimostrare che queste considerazioni possono avere anche rilevanza economica e politica, ho provato la formula su estratti di due programmi politici diversi. Il primo ha una leggibilità di 18 (non scherzo! Significa in pratica illeggibile) e l’altro di 36. Entrambi di difficile lettura ma uno addirittura la metà dell'altro

Riuscite ad indovinare di quali forze politiche si tratta basandovi sui risultati delle elezioni?

driadema@gmail.com


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sabato 23 febbraio 2013

SI DIA FIATO ALLE TROMBE!!!

“Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.”
(Eugenio Montale, da Non Chiederci La Parola)


  La poesia di Montale a Leida (Olanda) 
(Non chiederci, Oude Rijn, angolo Pelikaanstraat).
In PNL ricordiamo spesso che un’esperienza vividamente immaginata può avere lo stesso effetto emotivo di un’esperienza realmente vissuta.
Gli scrittori si sono resi  conto di questo fenomeno spontaneamente, e non so perché non avevamo dubbi, e come molti esperti stanno confermando (ad esempio Brian Pasley dell'Università della California, a Berkeley) l'attività cerebrale che si genera in risposta a una frase ascoltata sia simile a quella che si genera quando semplicemente pensiamo a quella stessa frase o la leggiamo. Siccome è il suono che attiva i neuroni sensoriali, quanto più “suono” riusciamo a mettere nella nostra scrittura tanto più il lettore ne sarà coinvolto. Come realizzare tutto questo nella scrittura visto che i nostri lettori leggeranno le parole scritte, ma non le ascolteranno direttamente?

Quindi la sfida può essere convertita nel riuscire ad usare efficacemente le parole oltre che per il loro significato anche per il loro valore sonoro cosìche quando vengano lette interiormente esprimano una componente aggiuntiva che sostenga emotivamente il significato del nostro messaggio e renda l'esperienza del lettore più vivida e realistica.

Prima di continuare leggete ad alta voce questo immortale sonetto di Ugo Foscolo:
Alla sera

Forse perché della fatal quiete
tu sei l'immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.


Fabre: Ritratto di Ugo Foscolo, 1813
Dal punto di vista sonoro la poesia comincia con la dolcezza dei primi versi resa dall’uso di vocali dolci come la “e” e la “i”, ulteriormente addolcita dall’uso delle due vocali in dittonghi come “quiete, vieni, liete” e l’impiego della consonante liquida “elle”.
Poi prosegue suggerendo con le consonanti spiranti e sibilianti come la “esse”, la “zeta” e la “effe”, il soffio del vento “estive e i zeffiri sereni” fino a contrapporsi al rumoroso ruggito degli ultimi versi caratterizzati dalla presenza della consonante vibrante “erre”.
In particolare l’ultimo verso “quello spirto guerrier che entro mi rugge” che proprio grazie alla presenza dei tante erre risulta un verso fortemente aggressivo e molto più efficace nell’esprimere l’emotività del poeta.

Rileggete adesso il sonetto del Foscolo avendo in mente questi suoni e rileggete anche la citazione d’apertura e come la “storta sillaba e secca” venga comunicata sia con il significato delle parole che con la sonorità delle stesse.
Conoscendo molto bene la vibrazione della lettera “r” Torquato Tasso la usa ne La Gerusalemme Liberata canto IV, 3 per descrivere invece scene d’orrore. Da leggere a voce alta:
Chiama gli abitator de l'ombre eterne
il rauco suon de la tartarea tromba.
Treman le spaziose atre caverne,
e l'aer cieco a quel romor rimbomba;
né sí stridendo mai da le superne
regioni del cielo il folgor piomba,
né sí scossa giamai trema la terra
quando i vapori in sen gravida serra.

Angeli che annunciano la fine dei tempi.
Particolare del Giudizio Universale di Michelangelo
In questo caso abbiamo la ripetizione ossessiva (meglio forse dire martellante? ;-), delle lettere “t” e “r”, che suonano appunto come il tuonar della tromba, e le tre rime in “-omba”, sottolineano proprio il rimbombo amplificato, come esplosioni di mortali ordigni, granate detonanti e bombe devastanti. 8-0

Non posso fare a meno di notare come la singola parola “tromba” contenga essa stessa i tre elementi fondamentali qui utilizzati dal Tasso, la “t” la “r” e l’“omba”.

Il paraverbale nella scrittura non finisce certamente qui, riguarda ad esempio anche l’utilizzo sapiente della lunghezza delle parole e del periodo: lo vedremo nei prossimi post. A presto!

driadema@gmail.com


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domenica 17 febbraio 2013

CITAME, CITAME MUCHO ...

Il problema delle citazioni riportate sui blog è che 
è molto difficile verificarne l'autenticità. 
(William Shakespeare)




Milton Erickson stesso conclude la prefazione del libro “I modelli della tecnica ipnotica di Milton Erickson” (Astrolabio), di Richard Bandler e John Grinder, con queste parole: 
“Scrivere la prefazione a questo libro è stato un piacere e un privilegio. Lo dico non perché esso riguardi le mie tecniche ipnotiche, ma perché da troppo tempo ormai si avverte l’esigenza di riconoscere che una comunicazione densa di significato va sostituita alle verbosità ripetitive, ai suggerimenti diretti e ai comandi autoritari.”

Ricordo anche un trainer spiegare durante un corso che  se si chiede a qualcuno di fare qualcosa con un comando diretto spessa la persona può offrire resistenza ed opporsi al comando stesso, una funzione normale della psicologia umana, mentre Milton Erickson utilizzava perlopiù metodi indiretti di comunicazione, proprio per evitare questa resistenza, come ad esempio le citazioni, ovvero dire qualcosa attraverso le parole di qualcun altro.

Così chi ha imparato i modelli ipnotici di Milton potrebbe cominciare ad esempio una frase in questo modo: “L’altro giorno ho incontrato un amico che stava attraversando un momento difficile e quando gli ho chiesto come stesse mi ha risposto: Sai, ho scoperto che posso sentirmi bene ogni volta che voglio, senza nessuna ragione specifica. Dipende solo da me.”
In questo modo riusciamo a suggerire alcune possibilità all’altra persona (puoi sentirti bene) mantenendo il rapport con lei grazie alla morbidezza e non intrusività della comunicazione indiretta.


Anche gli scrittori usano tecniche simili come ad esempio Nabokov in Ada o ardore (Traduzione: Margherita Crepax):


“Tutte le famiglie felici sono più o meno diversetra loro; le famiglie infelici sono tutte più o meno uguali” dice un grande scrittore russo al principio di un famoso romanzo (“Anna Arkadievitch Karenina”, trasfigurato in inglese da R. G. Stonelower, Mount Tabor Ltd., 1880).
Vera e Vladimir Nabokov giocano a scacchi.

In questo modo Nabokov può indurre il lettore a riflettere su come sono le famiglie infelici in modo che il lettore accetti più facilmente la frase d'esordio del romanzo.

Un altro esempio lo troviamo in Come Dio Comanda (Premio Strega nel 2007) di Ammaniti dove ad un certo punto
egli scrive :

Era un piano semplice.
«E la semplicità è la base di ogni cosa fatta come si
deve» gli diceva sempre suo padre.
Nicolò Ammaniti
Notate come in questo modo noi lettori siamo indotti a considerare più facilmente la frase posta tra virgolette (in questo caso una convinzione), senza opporre resistenza perché Ammaniti non ce la propone direttamente ma la fa dire da un personaggio, e in più il personaggio cita il proprio padre. Doppiamente indiretta, doppiamente efficace.

Dichiarando una nostra convinzione potrebbe succedere che questa non sia condivisa da altri e così facendo rischiamo di allontanarci da chi ci sta leggendo.  Allora ecco che gli scrittori s’inventano modi per farci arrivare comunque il messaggio in altro modo. Elizabeth Rowling in Harry Potter e la pietra Filosofale (traduzione di Marina Astrologo, Salani Editore), sceglie nientemeno che Abus Silente per dire:
“Esistono molti tipi di coraggio. Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici.”
Abus Silente


Un’altra forma di comunicazione indiretta utilizzata dagli scrittori, molto vicina a quella della citazione, è il meccanismo narrativo del “manoscritto ritrovato” spesso usato dagli scrittori di romanzi come ad esempio, da Cervantes nel Don Chisciotte.
Don Chisciotte e Ronzinante, di Honoré Daumier
Cervantes si inventa la figura dello storico Cide Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e tradotto il manoscritto in arabo nel quale sono raccontate le vicende di Don Chisciotte.
Con questo artificio il narratore asserisce di non essere lui l’autore della storia raccontata, ma di averla ritrovata in un testo di un'altro scrittore e quindi, appunto, di citarla semplicemente.


Non è necessario che la citazione o il manoscritto siano falsi, possono anche essere cose assolutamente reali e accadute veramente, quindi citazioni di amici, nonni, genitori, libri, film e così via. Quello che conta è cominciare a considerare l’efficacia della comunicazione indiretta.  

Anche Walter Scott finse di aver trovato notizia in antichi documenti scozzesi delle gesta che racconterà in IvanhoeAlessandro Manzoni ricorse anch’egli al manoscritto ritrovato, scrivendo nell’Introduzione ai Promessi Sposi di aver trascritto la storia dei due “promessi” dallo “scartafaccio” di un cronista del Seicento.

In tempi più recenti Umberto Eco comincia così
“Il Nome della Rosa”:

Naturalmente, un manoscritto

Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d'après l'édition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842). Il libro, corredato da indicazioni storiche invero assai povere, asseriva di riprodurre fedelmente un manoscritto del XIV secolo, a sua volta trovato nel monastero di Melk dal grande erudito secentesco, a cui tanto si deve per la storia dell'ordine benedettino.
La chiave degli esempi presentati non è tanto quella dello stratagemma o dell’espediente narrativo, ma piuttosto il trovare un mezzo per riuscire a comunicare indirettamente in quanto la modalità di comunicazione indiretta risulta essere più efficace.

E nel cinema?


Si diceva che il film The Blair Witch Project fosse stato realizzato montando le scene spaventose registrate su una cassetta di una telecamera amatoriale ritrovata per caso in seguito alla scomparsa misteriosa di tre ragazzi.
L'inquadratura sul volto di Heather, una dei protagonisti

Oppure il film Cloverfield  come giustamente dice wikipedia “si apre con il marchio "Proprietà del Governo degli Stati Uniti" sullo schermo, ad indicare che gli spettatori stanno osservando una memory card del video del caso "Cloverfield" (campo di trifogli), trovato in un'area precedentemente nota come "Central Park". Le riprese seguenti costituiscono il resto del film, tutte fatte tramite il punto di vista di una videocamera amatoriale portata a mano.”

In entrambi i casi il manoscritto viene sostituito dalla "telecamera ritrovata" mantenendo fermo il principio.

Notiamo quindi un livello di sottigliezza ulteriore e cioè come il mezzo scelto per la citazione possa ricalcare anche la modalità di comunicazione stessa: se sto parlando a qualcuno racconto di una cosa che mi è stata detta, se sto scrivendo ritrovo un manoscritto, o una lettera, o un libro, e lo trascrivo; se faccio un film ritrovo una telecamera amatoriale con scene interessanti.

Il prossimo passo sarà quello di un blogger che scriverà di aver scovato un fantastico blog che racconta storie incredibili :-)

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domenica 10 febbraio 2013

LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI

“Il segreto del canto risiede tra 
la vibrazione della voce di chi canta 
ed il battito del cuore di chi ascolta.”


Quando non riusciamo a sentire bene qualcuno che parla in televisione prendiamo il telecomando e alziamo il volume, anche se ho il sospetto che molti ultimamente preferiscano piuttosto abbassarlo il volume e ascoltare un po’ meno della scarsa qualità di pensiero che ci viene  propinata in televisione. 

Il volume è naturalmente una caratteristica specifica dei suoni e in PNL chiamiamo sottomodalità queste distinzioni dettagliate relative a una modalità sensoriale o rappresentazionale come la vista, l’udito, il tatto o le sensazioni, l’olfatto e il gusto. Altre tipiche sottomodalità auditive sono ad esempio il timbro di un suono o di una voce, la direzione di provenienza di un suono, la distanza del suono stesso, la velocità di una successione di parole come ad esempio qualcuno che parla più in fretta o qualcun altro che discorre più lentamente. E così via.

La Cripta dei Cappuccini a Vienna
Questo post è dedicato all’uso nella scrittura delle sottomodalità auditive e in particolare a quelle relative alla voce umana. Prenderò tutti gli esempi di questo post da un unico romanzo di Joseph Roth, La Cripta dei Cappuccini (Edizioni Adelphi, Traduzione di Laura Terreni) per dimostrare quanto può essere ricca la caratterizzazione della voce umana anche in un solo romanzo di un grande scrittore.

E cominciamo con un primo esempio” a pag. 26:

Aveva una voce profonda e morbida. (io non posso soffrire le voci femminile acute e stridule). Il suo parlare mi ricordava una sorta di smorzato tubare, contenuto, casto e nondimeno torrido, un mormorare di fonti sotterranee, il loro rullare di treni lontani, che talvolta si sente nelle notti insonni, e la più banale delle sue parole acquistava per me, grazie a questa profondità del timbro col quale veniva pronunciata, la pienezza.
La cosa che qui è più evidente è l’uso di metafore e similitudini, schemi utilizzati costantemente anche dalla PNL e da Milton Erickson. Sapendo che la mente umana è in grado di generalizzare e quindi di prendere quello che c’è in comune tra tre diverse esperienze della realtà (smorzato tubare, mormorare di fonti sotterranee, rullare di treni lontani) e applicare alla voce dell’uomo ciò che vi è di comune alle tre esperienze sonore facendola risultare “profonda e morbida”. Notiamo inoltre per la prima volta un fatto all’inizio sorprendente e poi invece del tutto naturale: la pienezza della parola non viene comunicata dall’importanza o spessore della parola stessa, ma dal timbro della voce, cioè dalla sua qualità sonora, dalla sottomodalità utilizzata. Wow! Un mio vecchio amico tedesco mi diceva sempre: “E’ il tono che fa la musica!”

Continuiamo con un esempio di attenzione alle variazione del volume (il volume è una sottomodalità auditiva) della voce umana a pagina 35:

E quando nel corridoio con voce minacciosamente bassa diceva all’usciere: Mi annunci al consigliere!, era raro che gli si chiedesse il nome e, se nondimeno accadeva, egli ripeteva con voce possibilmente ancor più passa: Mi annunci subito, prego! La parola “prego!”, comunque, suonava già più forte.
I cambiamenti di volume possano causare cambiamenti alle nostre sensazioni in modo potentissimo: avete anche voi teso l’orecchio alla voce ancor più bassa e poi vi è aumentato il battito del cuore al “prego!” con volume più alto? Vero?

Se invece pensiamo a un modello di Milton unito alle sottomodalità della voce umana, troviamo a pagina 83 una bellissima violazione della restrizione selettiva, ovvero un esempio di quando si danno possibilità di azione, o attributi umani, ad una certa cosa che in realtà le sono impossibili. In questo brani le parole assumono caratteristiche fisiche, non solamente quelle sonore, come sarebbe normale, ma anche solide:  

Ma non era la voce sonora, profonda di Stellmacher che io conoscevo da anni – e anche il suo motteggio era forzato. Mai prima d’ora era uscita dalla bocca di Stellmacher una parola frivola. Si sarebbe impigliata nei folti e lucidi cespugli dei mustacchi tinti di nero perdervisi senza suono.
Leggendo l’intero romanzo di capisce come Joseph Roth sia molto attento ai sensi, non solo al suono della voce, e riconosca anche una priorità di potenza alle modalità rappresentazionali stesse. Ad esempio nota a pagina 136 come quando un senso è disturbato o fortemente impegnato anche gli altri possano non funzionare correttamente, specialmente se il senso affetto è uno di quelli più primitivi e ancestrali, come l’olfatto.
Il caffè puzzava di acetilene, vale a dire di cipolle marce e di cadaveri. Non c’era luce elettrica. … Mi riesce estremamente difficile raccogliere le idee se ci sono odori penetranti L’odore è più potente del rumore.
Come prima cosa lo scrittore sa sempre tornare alla neurologia reale dell’essere umano, al di là dell’astrazione delle parole, e utilizzare ciò che noi lettori possiamo effettivamente tradurre in rappresentazioni interne attraverso la nostra esperienza del mondo. Quando abbiamo letto “acetilene”, la maggior parte di noi avrà intuito che non si trattava niente di buono, ma quando poi usa le modalità sensoriali ed esempi più concreti come “cipolle marce e cadaveri” sono sicuro che molti di noi abbiano storto la bocca in segno di disgusto: “che schifo!”. 
 

Già in precedenza abbiamo notato un’altra cosa importante, e cioè l’effetto di come alcune sottomodalità permettano al contenuto di essere valorizzato o meno. A pagina 57 leggiamo:
Parlava con quella voce gutturale di certi prussiani che sembra uscire più da un camino che da una gola, e che rende vacuo anche ciò che di significativo essi talvolta esprimono.
Questo è un messaggio importantissimo dal punto di vista neurologico e di comunicazione: il tipo di voce che usi influenza la “vacuità” di un messaggio. Le modalità  e le sottomodalità sono più importanti del contenuto: forse il più importante caposaldo della PNL. Joseph Roth dimostra ancora una volta come i grandi scrittori sembrano avere un’innata capacità di comprendere a fondo le basi della PNL.

Concludiamo con un ultimo esempio a pagina 158 che contiene molti altri elementi, come ad esempio schemi di Milton, già incontrati in altri post, e altre tecniche che discuteremo in futuro, rimanendo per ora sulle sottomodalità auditive e sulle caratteristiche della voce umana, di come poterle rendere nella scrittura e di come utilizzarle per rendere il testo più dinamico (ad esempio con gli aumenti di volume). Lascio a voi scoprire tutto ciò che questo elegantissimo brano contiene:

Mi abituai alle sue maniere imprevedibili (mi facevano trasalire sempre meno), al suono della sua voce, che era sempre di due, tre tonalità più alto di quanto non richiedesse l’ampiezza dell’ambiente in cui stava parlando. Era come se non sapesse affatto che esistono ambienti più piccoli e più grandi, una stanza, per esempio, e l’atrio di una stazione. Nel salone di mia madre parlava con quella voce precipitosa, almeno il doppio della velocità normale, con cui parecchie persone semplici usano parlare al telefono. Per la strada urlava addirittura. E siccome si serviva solo di locuzioni vuote di contenuto, la loro risonanza era ancora maggiore. Per diverso tempo mi stupii di mia madre, alla quale ogni suono più forte, ogni rumore superfluo, ogni musica di strada e perfino i concerti all’aperto, procuravano sofferenze fisiche potesse sopportare e addirittura trovare charmant la voce di von Stettenheim.  Solo un paio di mesi più tardi, per un caso, potei conoscere la causa di tanta indulgenza. [...]
«Sicuro, credo che sia morto due anni fa. Ma a dir poco aveva già ottant'anni!». «Dunque è morto!» ripetei – e così seppi che mia madre era quasi sorda.

Joseph Roth
Quante cose avete trovato? Al di là delle considerazioni linguistiche mi piace rilevare come l’autore ponga l’attenzione su un altro fattore fondamentale della PNL: l’acutezza sensoriale e il saper rilevare e utilizzare il feedback durante la comunicazione. Quando parla di von Steetenheim è chiaro come egli non rilevi l’ambiente in cui si trova e quindi non adegui la sua voce alle circostanze, mentre invece lo scrittore si accorge che la madre ha cambiato le reazioni e così è pronto quando arriva il segnale successivo a capire che lei è sorda.

 

E voi di quante cose vi accorgete e a quante cose riuscite a stare attenti? 

driadema@gmail.com


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