“Il tatto viene prima della vista, prima delle parole.
E’ il primo linguaggio e anche l’ultimo,
e dice sempre la verità”
Margaret Atwood, L’assassino cieco
Il cosiddetto ricalco sul futuro della canzone Estate dei Negramaro con il suo utilizzo elegante delle modalità sensoriali ci porta a considerare l’importanza di scrivere esprimendoci in tutti cinque sensi specialmente i tre principali come la vista, l’udito e le sensazioni corporee. Credo che questo sia sottolineata in tutti i manuali di scrittura ed è talmente facile da verificare che è una delle cose che si nota più facilmente e di cui si parla spesso da parte di chi pratica PNL. Possiamo andare oltre? Un esempio meraviglioso e frequentemente citato è dato dal testo di Emozioni di Mogol per la canzone composta e cantata da Lucio Battisti.
Mogol (a destra) con Lucio Battisti negli anni settanta |
Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi ritrovarsi a volare (V>K)
e sdraiarsi felice sopra l'erba ad ascoltare un sottile dispiacere (K-A>K)
E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire dove il sole va a dormire (V>K)
Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore (K>A)
e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi e tanto difficile morire (K-V>K)
E stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me ma nella mente tua non c'e' (K>K)
Capire tu non puoi tu chiamale se vuoi emozioni (A-K)
La prima cosa che salta all’occhio e all’orecchio è come Mogol utilizzi tutti e tre i sistemi rappresentazionali principali e quindi in questo modo “prende tutti” ovvero ha una forte possibilità di ricalcare le preferenze percettive di ciascuno di noi e allo stesso tempo offre un’esperienza completa che colpisce tutti i sensi. C’è qualcosa in più. Tranne un’eccezione, e se c’è un’eccezione ci sarà un perché, tutti i versi finiscono sul K, sulle sensazioni. Quindi lo schema in realtà è più raffinato di una semplice distribuzione del testo musicale su tutti i canali rappresentazionali. Funziona piuttosto come una serie di espressioni che cominciano con uno dei tre sensi principali - visivo, auditivo e cenestesico - per concludere la frase sempre in guida verso una sensazione corporea o un emozione che così preparata arriva come un pugno sotto la cintura! E ancora di più, l’unico verso che non finisce sul K è quello che prepara l’emozione più forte. Terminando infatti quel verso diversamente da quelli che lo precedono abbiamo come una cadenza sospesa nell’ascolto del “non fa rumore” (riascoltare per credere) così che quando poi ricomincia sentiamo il botto ancora più forte il fondo al cuore.
Notiamo anche come il buon vecchio nonno Milton non ci abbandoni mai, Mogol usa qui una violazione della selezione restrittive a rovescio (la tristezza che cade come la neve, la tristezza non cade come le cose, è un sentimento dell’essere umano), gli aggettivi di commento (“sottile” dispiacere, sdraiarsi “felice”) per concludere con quel “qualcosa che è dentro me”. Qualcosa che appunto non sapremo mai cosa sia, ovviamente, e ce lo dice pure che non capiamo, al limite ci concede di dare bel nome contenitore (Altra Miltonata: ci torneremo!): “Emozioni”, dove ciascuno ci metterà tutto quello che vuole e magari anche se non vuole. Giusto un cenno veloce a quelle che vengono chiamate sottomodalità, ovvero le distinzioni di precisione all’interno di una modalità rappresentazionale. Ad esempio un dispiacere può essere un “grosso dispiacere” oppure un “sottile dispiacere”. Se vi dico che due cose sono separate da una “linea”, avrete una certa reazione emotiva, se le stesse due cose sono separate da una “sottile linea”, ne avrete una ancora diversa, e se come Rudyard Kipling scrivessi «Tra la lucidità e la follia c'è solo una sottile linea rossa» correreste subito a telefonare a Sean Penn per farne un film di successo. Arricchendo il sostantivo con due aggetti che ne caratterizzano le distinzioni sottomodali ne potenzio l’effetto emotivo. Non riesco a resistere dal notare anche una bella sinestesia cioè la sovrapposizione di due sensi come “ascoltare un dispiacere”: vedete cosa vi sto dicendo?
Insomma, Mogol eccelle nei suoi testi sia nell’uso dei sistemi rappresentazionali, in modo molto dettagliato, che nell’uso del Milton Model per esprimere sentimenti universali e che interessano tutti. Chi sarà stato il primo? Mogol o c’è qualche poeta del passato che magari ci ha provato prima di lui?
Giacomo Leopardi |
L'INFINITO | Milton Model e sistemi rappresentazionali |
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«Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare» (Giacomo Leopardi) | Sempre: avverbio di tempo Colle, siepe: ricalco di situazione ordinaria V K-V A-A; profondissima, aggettivo di commento K A A (K) morte stagioni (Violazione della Selezione restrittiva); A K; annega il pensiero: Violazione della Selezione Restrittiva Sinestesia finale K/G (G = gustativo) |
Ci manca solo un bel predicato olfattivo che troviamo prontamente nello stesso Mogol in molte canzoni. Un esempio per tutti in “Fiori Rosa, Fiori di Pesco” (e già il predicato sensoriale è preparato dal profumo dei fiori): “Nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro”. Rimaniamo attoniti anche da miltonate e sinestesie olfattive/censtesiche oltre i confini del mondo conosciuto: che profumo ha l’amore? Il tuo, caro lettore? ;-) E come lo si trova negli occhi?
Anche nei romanzi si possono utilizzare gli stessi schemi. Ammaniti in “Io non ho paura” già comincia mettendo nel titolo un’altro schema di Milton: la negazione. Milton usava la negazione per suggerire esattamente il contrario “non ti chiedo di rilassarti ora” ci porta immediatamente a pensare al rilassamento, “non sarò io a dirti quanto è importante seguire una dieta salutare” e intanto te l’ha appena detto. Se dunque scrivo che non ho paura qual’è l’ovvio presupposto? Che c’è qualcosa di cui aver paura e quindi già mi chiedo: di cosa dovrei aver paura? E ci penso. Ammaniti comincia così il romanzo:
“Stavo per superare (K) Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava (A). Mi sono girato (K) e l'ho vista (V) sparire inghiottita (K) dal grano che copriva la collina.”
Notate come anche qui la frase finisca sul K, utilizzi la violazione della selezione restrittiva (le colline non inghiottono, ma gli esseri umani e gli animali feroci sì, per esempio). E infatti in questo modo da fuoriclasse anticipa neurologicamente la frase a pagina 16: “Magari sulla collina viveva un animale strano!”
Se siete come me avete inghiottito un po’ di saliva quando avete letto la parola "inghiottita" nella frase di prima, e inghiottire è una delle funzioni più ataviche e inconsce che ci siano, e ditemi un po’: se non state mangiando quand’è che inghiottite?
Per caso quando state cominciando a non avere paura?
driadema@gmail.com
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