(di Adriano De Matteis)
Gironzolavo per il supermercato, indeciso se prendere ancora qualcosa per la serata. Se aveste sbirciato nel mio carrello non ci avreste trovato molto: qualcosa da mangiare e una bottiglia di vino rosso. Aspettando che mi venisse ancora qualche idea su cosa prendere andai a dare un’occhiata ai libri.
C’era un grande cesto con libri in offerta di tutti i tipi, roba vecchia di dieci anni prima: manuali oggi improponibili e romanzi che imitavano gli stili in voga all’epoca.
Di certo io non sono uno scrittore, non ho speso anni ad affinare come usare le parole nel modo più efficace, ma sono sempre alla ricerca di qualche racconto che sia ben scritto e che mi emozioni. Rovistai nel cestone e mi capitò tra le mani il romanzo che conoscevo così bene e che aveva cambiato così tanto la nostra vita. Era molto tempo che non lo trovavo in libreria, non chiedetemi come fosse risaltato fuori in quel centro commerciale. Il romanzo era di più dieci anni fa: non mi ero accorto che il tempo fosse passato così in fretta. Lo sfogliai, lessi qualche frase, lo conoscevo a memoria per averlo letto e riletto insieme a Renata. Mentre l’emozione mi cresceva dentro rimisi il romanzo nel cesto e ripresi a spingere il carrello. Arrivai alla cassa dopo aver preso ancora qualcosina e la signora davanti a me guardò la mia spesa: ora in più c’era qualche cibo semi-pronto, una raccolta di racconti brevi, non avevo l’energia per leggere un romanzo, un po’ di musica ambient e mentine per l'alito. Andai con la mente alla mia serata e sorrisi. La signora credette di leggermi nel pensiero e ricambiò arricciando il naso con disprezzo.
Renata mi aspettava a casa. Le avevo chiesto prima di venire con me a fare due passi.
- Perché non vieni? -
- Sono stanca - mi aveva risposto.
Capii che per lei non era facile muoversi. Anche se un certo angolo del suo sorriso mi aveva lasciato percepire un sentimento in sospeso tra il fastidio e il piacere: sembrava impaziente che io uscissi.
Non appena superai le casse sentii un tonfo e qualche secondo dopo un pianto di bambino. Mi avvicinai e mi chinai:
- Fa male vero ?-
- Sììì -
Il bimbo si voltò nella direzione del mio dito indice che puntava ad una piastrella rotta:
- Cavoli, hai spaccato la piastrella!-
Il bimbo smise di piangere e si voltò verso di me toccandosi la fronte come per verificarne la durezza.
- Hai una testa molto forte - gli dissi.
Mi osservava come se stesse valutando la credibilità della mia affermazione, poi guardò la piastrella incerto se meravigliarsi o se sentirsi preso in giro
Arrivò la mamma che mi disse uno – Scusi! - sbrigativo e trascinò il bambino tirandolo per il braccio. Il bambino ricominciò a piangere mentre mi rialzavo guardando la minigonna della mamma oscillare allontanandosi. Avevo già notato quella ragazza. Faceva più o meno la spesa negli stessi orari miei. Una minigonna corta. Come i tempi di conquista moderni. Astenersi perditempo.
Non so cosa mi portò ad immaginare che la signorina fosse la moglie di un mio collega. Forse la considerazione: "com'è piccolo il mondo!".
Ma il mondo non è così piccolo. Me lo ricordava sempre il mio professore d’italiano: - Si dice com’è piccolo il mondo. In realtà il mondo è immenso. Siamo noi a renderlo piccolo frequentando le stesse strade, le stesse persone, andando a far le spesa negli stessi posti, pensando sempre gli stessi pensieri.
Quando arrivai aprii con le mie chiavi e vidi l’ombra di Renata salutarmi dal fondo del corridoio, sembrava stesse aspettandomi con trepidazione, appoggió la lingua sul labbro superiore già impegnato in un sorriso e diede una spinta sulle ruote della sua sedia a rotelle raggiungendomi in due bracciate. Frenando mi sorrise:
- Ciao
Mi abbassai per baciarla e lei ricambiandomi mi mise le braccia al collo. Aveva ancora il gesso al braccio. Renata era uscita da poco dall’ospedale. Era caduta e si era fatta male. Non era la prima volta. Uno dei nostri divertimenti consisteva in me che la spingevo a tutta velocità sulle scale del Palazzo di Giustizia. Renata volle farlo quando vide alcuni ragazzi scendere dai gradini con i pattini. Io la spingevo lungo le scale e poi le correvo al fianco per controllare la discesa. Un mese fa non ero riuscito a tenerla in equilibrio, era caduta e si era rotta un braccio. Rideva come una pazza mentre cercavo di spiegare ai medici del pronto soccorso com’era andata la cosa. A me era sempre sembrata una pazzia in effetti. Ma a lei piaceva mettermi in situazioni imbarazzanti e si divertiva a vedere come me la cavavo per uscirne.
Tutti le avevamo detto che avrebbe dovuto abituarsi alla paralisi delle gambe e di non continuare a credere che fosse in grado di fare le stesse cose a cui era abituata prima. Renata cercava in ogni modo di mostrare a sé stessa, anche dopo anni e anni, che le cose non erano cambiate, come quelle rondini che continuano a tornare sotto le travi del porticato cercando il nido dell’anno prima, anche quando il nido non c’è più.
- Com’è andata la giornata? - Le chiesi.
- Ho fatto un po’ di ginnastica, ho preparato il riso al melone
- Mmm ... buono – dissi – sei stata brava a cucinarlo con il gesso al braccio - mentre osservai che aveva riappeso alla parete la fotografia di Martina il giorno del suo ultimo saggio di danza. Non vedevo quella fotografia da anni, non me la ricordavo nemmeno quella foto. C’erano Martina, Renata e la nonna: tre generazioni catturate in pochi centimetri. Strinsi gli occhi e sfuocai l’immagine.
- E poi? - continuai
- E poi ho terminato il romanzo
- Il romanzo?
Il sacchetto della spesa mi cadde di mano e sentii le sopracciglia quasi al centro della fronte.
- Sì, ho finito di stamparlo oggi pomeriggio
Mi dovetti sedere sulla sedia nell’atrio e quando ripresi a respirare sentii un brivido allargarsi nel petto. Non mancava mai di sorprendermi con qualcosa che riusciva a nascondermi per lungo tempo.
- Non vedo l’ora che tu me lo legga, papà – continuò.
Proprio oggi avevo trovato per caso al supermercato il suo ultimo romanzo e ora, seduta su quella sedia a rotelle, si stringeva nelle spalle dalla gioia, come una piccola bimba felice. Mi fece ritornare alla mente quando era ancora una ragazzina e come mi incantava con la sua capacità di usare le parole. Vedevo ancora il suo viso luminoso quando avevo appena finito la lettura di uno dei suoi racconti.
Saltai in piedi:
- Forza, passamelo! –
- No, non ancora papà. Prima ceniamo e poi voglio che me lo leggi ad alta voce
- No! - Esclamai - la cena può aspettare -
Le strappai il libro dalle mani e mi schiarii la voce. Renata si fece seria, pronta ad ascoltare. Poi, iniziai a leggere:
«Oggi mi sono vista con Silvia e le ho raccontato che dopo dodici anni mi è tornato il desiderio di avere un figlio. Fino a poco fa tutto era rimasto fermo a quel giorno. Quel giorno che mio marito mi chiamò per dirmi che non poteva accompagnarci al centro commerciale.
Sarebbe dovuto restare al lavoro fino a tardi per chiudere un po’ di cose prima che partissimo per le vacanze. Insistette che sarei dovuta andare da sola, anche se era molto tempo che non guidavo. Io gli proposi di farci un salto il giorno dopo, insieme, prima di partire. Lui si irritò dicendomi che dovevo affrontare le mie paure e che avrei dovuto essere più autonoma e indipendente.
Chiesi a mia mamma di venire con me e presi io l’auto. Ero così stressata solo a sentire il volante tra le mani. Lo toccavo e ritoccavo cercando di impugnarlo senza stringerlo troppo. Mi assicurai ancora una volta che Martina fosse ben seduta sul seggiolino del passeggero e le ricontrollai la cintura di sicurezza. Feci un bel respiro, mia mamma ricambiò il mio sorriso imbarazzato mentre seduta dietro Martina la distraeva con un sonaglio da sopra il sedile. Lasciai la frizione e la macchina sobbalzò. Ero troppo ansiosa e troppo concentrata sulla guida per accorgermi della macchina che arrivò da destra e che ci prese in pieno.
Quando riaprii gli occhi trovai quelli azzurri e arrossati di mio padre che mi stava stringendo dolcemente entrambe le mani. Sentii il mio corpo infinitamente debole e la sua voce come un carezza sui capelli:
“Renata, ciao. Bentornata tra noi.”
Al momento non capii cosa volesse dire, poi ricordai il colpo, avevo perso i sensi.
“Martina, mamma”, mormorai con un filo di voce
Mio padre continuò: “So che è giovedì il mio turno per leggerti un nuovo racconto, e siamo ancora a mercoledì. Purtroppo devo raccontarti oggi una storia che non può aspettare fino a domani.”»
driadema@gmail.com
«Oggi mi sono vista con Silvia e le ho raccontato che dopo dodici anni mi è tornato il desiderio di avere un figlio. Fino a poco fa tutto era rimasto fermo a quel giorno. Quel giorno che mio marito mi chiamò per dirmi che non poteva accompagnarci al centro commerciale.
Sarebbe dovuto restare al lavoro fino a tardi per chiudere un po’ di cose prima che partissimo per le vacanze. Insistette che sarei dovuta andare da sola, anche se era molto tempo che non guidavo. Io gli proposi di farci un salto il giorno dopo, insieme, prima di partire. Lui si irritò dicendomi che dovevo affrontare le mie paure e che avrei dovuto essere più autonoma e indipendente.
Chiesi a mia mamma di venire con me e presi io l’auto. Ero così stressata solo a sentire il volante tra le mani. Lo toccavo e ritoccavo cercando di impugnarlo senza stringerlo troppo. Mi assicurai ancora una volta che Martina fosse ben seduta sul seggiolino del passeggero e le ricontrollai la cintura di sicurezza. Feci un bel respiro, mia mamma ricambiò il mio sorriso imbarazzato mentre seduta dietro Martina la distraeva con un sonaglio da sopra il sedile. Lasciai la frizione e la macchina sobbalzò. Ero troppo ansiosa e troppo concentrata sulla guida per accorgermi della macchina che arrivò da destra e che ci prese in pieno.
Quando riaprii gli occhi trovai quelli azzurri e arrossati di mio padre che mi stava stringendo dolcemente entrambe le mani. Sentii il mio corpo infinitamente debole e la sua voce come un carezza sui capelli:
“Renata, ciao. Bentornata tra noi.”
Al momento non capii cosa volesse dire, poi ricordai il colpo, avevo perso i sensi.
“Martina, mamma”, mormorai con un filo di voce
Mio padre continuò: “So che è giovedì il mio turno per leggerti un nuovo racconto, e siamo ancora a mercoledì. Purtroppo devo raccontarti oggi una storia che non può aspettare fino a domani.”»
driadema@gmail.com
I contenuti di questo blog sono pubblicati sotto una licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported. Se riprodotti altrove, la loro paternità deve essere attribuita specificando il titolo di questo blog e inserendo un link alla sua home page o al post originale.
Molto bella... toccante...
RispondiEliminaGrazie Oriana, Adriano
Elimina