sabato 23 marzo 2013

GETTIAMO L'ANCORA!

Governare è far credere
Niccolò Machiavelli

 
Uno dei cani di Pavlov,
esposto imbalsamato al
museo Pavlov di Rjazan
La maggior parte di noi conosce probabilmente l’esperimento passato alla storia come  "Il cane di Pavlov". In questo esperimento Pavlov dà della carne ad un cane e mentre il cane inizia a salivare mangiando fa suonare un campanello. Dopo qualche ripetizione dello stesso schema, fa suonare solo il campanello, in assenza del cibo, e osserva che il cane ha lo stimolo salivare simile a quello di quando gli viene offerta la carne, l’acquolina in bocca. (A proposito: quanti di voi hanno una secrezione salivare aumentata proprio ora? ;-))

In PNL il campanello viene chiamato “àncora” cioè uno stimolo, in questo caso auditivo, che provoca una certa risposta grazie al fatto che lo stimolo si è presentato in concomitanza dello risposta stessa casualmente o in modo voluto.  Un esempio di àncora  è una canzone che sentiamo alla radio e che ci riporta a un periodo preciso della nostra vita, o una foto che ritroviamo e ci fa riprovare le stesse sensazioni di quando venne scattata.


Nella scrittura alcuni scrittori utilizzano procedimenti simili sia per facilitare certe emozioni nei lettori sia per preparare un momento importante di un romanzo o di una poesia.


Fernando Pessoa, 1914.
In “La Tabaccheria” Fernando Pessoa utilizza l’ancoraggio spaziale in modo molto chiaro e preciso, e a seconda dello stato emotivo in cui si trova utilizza un posto individuato chiaramente. In particolare quando va alla finestra assume uno stato attivo, vitale, orientato all’esterno, all’azione e alle altre persone. Quando invece è sulla sua poltrona entra in uno stato incline al pensiero metafisico e alla speculazione filosofica. E’ meraviglioso notare come al cambiare dello stato, cambi anche di posizione in modo tale che chi legge sia facilitato, data la complessità della poesia, ad assumere lo stato che lo scrittore vuole indurre prima ancora che il poeta ne scriva. Vediamo alcuni esempi tratti dalla poesia, trovate il testo completo in molti siti internet ad esempio cliccando qui.  

E partiamo dalla Finestra:
“Sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
E quando c'era, la gente era uguale all'altra.”
Per passare quindi all’introspezione:
“Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!

 E poi qualcosa alla finestra lo fa tornare alla realtà esterna:
“Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con l'intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell'essere indisposti.”

E quindi ritorna al proprio interno per pensare:

“Poi mi allungo sulla sedia
E continuo a fumare.
Finche il Destino me lo concederà, continuerò a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaia
Magari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia.
Vado alla finestra.”

In questo momento, nel leggere “vado alla finestra” il nostro stato, senza rendercene conto a livello conscio, è di apertura verso l’esterno, disponibile a conoscere le persone e la realtà esterne :-) e infatti con precisione matematica Pessoa scrive la propria conclusione che ha preparato grazie a tutta la parte precedente:
“L'uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica.
(Il Padrone della Tabaccheria s'è affacciato all'entrata.)
Come per un istinto divino Esteves s'è voltato e mi ha visto
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l'universo mi si è ricostruito senza ideale né speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.”

Meraviglioso. Ancora di più se pensiamo all'altra ancora che scivola via leggermente: quella del fumo, che unisce l'interno e l'esterno. 



Niccolò Ammaniti in “Io Non Ho Paura” costruisce magistralmente un ancoraggio tra il sentimento della paura e una collina. Il romanzo comincia con: “Stavo per superare Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava. Mi sono girato e l'ho vista sparire inghiottita dal grano che copriva la collina.”
Abbiamo già analizzato questo inizio in un post procedente e di come il fatto di “inghiottire” sia già associato alla paura, (specie se viene dopo un titolo “Io non ho paura” che già fa pensare alla paura stessa). A pagina 16 - Edizione Einaudi - troviamo un altro ancoraggio stavolta attraverso la fantasia di un ragazzino, Michele: “Magari sulla collina viveva un animale strano!” senza dircelo direttamente, ovviamente, lo scrittore àncora la collina a presenze strane e quindi potenzialmente pericolose che possono inghiottirci così come la collina ha metaforicamente inghiottito la sorella di Michele (tra l’altro una violazione della selezione restrittiva nel modello di Milton).

 
Nella prima parte del romanzo Ammaniti, senza che noi ce ne rendiamo conto perché immersi nella storia e nelle dinamiche dei personaggi, continua ad associare alla collina, attraverso una serie di eventi e situazioni, sensazioni di paura, di cose strane, di pericolo fino a raggiungere un livello in cui ci basta pensare alla collina che già sentiamo il battito cardiaco accelerare.


Se adesso voi foste lo scrittore dove fareste rimanere Michele da solo per fargli scoprire una realtà agghiacciante?



Vista panoramica dalla Connors Hill, nei pressi di Swifts Creek, Victoria

driadema@gmail.com


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